Ferruccio Ferrazzi (1881-1978) ha traversato anni nei quali una vasta fama l’aveva reso fra i primi artisti italiani a godere di ampio credito all’estero, ed anni poi di singolare appartatezza. Giovanissimo, partecipò sin dal 1912 alla Biennale di Venezia: era l’inizio di una carriera folgorante: nel ’17 esponeva a Zurigo, e nel ’19 alla mostra futurista di Milano e a quella di Mosca. A tale data egli aveva già maturato quell’atteggiamento ambiguo e fluttuante fra modernità e tradizione, fra avanguardia e museo, che costituirà un suo tratto peculiare. È il tempo dei maggiori riconoscimenti: la partecipazione alla Biennale veneziana (1920), la personale alla Casa d’Arte Italiana di Prampolini (1921), l’ampia rassegna d’opere presentata alla seconda Biennale romana (1923). Poi, nel ’26, la giuria del Premio Carnegie, presieduta da Bonnard, gli assegna il primo premio per la pittura. Premiato in occasione della prima Quadriennale del 1931, è eletto nel ’33 Accademico d’Italia. Numerose, in questi anni, le opere di decorazione che proseguirà anche dopo la guerra, tempo che coincide però con la sua scelta esistenziale di appartarsi vieppiù: dal 1960 vivrà stabilmente a Santa Liberata all’Argentario. Con testi di I. Amadei, P. Pancotto, A. Bucci.