"Le modèle de la mode a toujours été ce que l'homme se met sur la tête" sentenzia Marc-Alain Descamps, e l'evoluzione storica dei copricapo maschili conferma. A partire dal pileo alato di Mercurio, le corone dei re, i serti di alloro dei poeti e degli eroi, le aureole dei santi non sono altro che le rappresentazioni simboliche del prestigio, che per meglio evidenziarsi si pongono sul capo, prominenza cospicua della persona. La storia del cappello da uomo, dunque, ripercorre l'itinerario intrigato del potere, dell'autorità e della prepotenza maschile. Esso coronava i re, distingueva i capi, aggregava gli appartamenti a una stessa comunità e proteggendo la testa identificava cittadinanze, fasce sociali, professioni e mestieri diversi, etnie differenti. Ancora, l'uomo di toglie il cappello per salutare, "appende il cappello" quando entra non solo eufemisticamente nella casa della moglie, "prende cappello" quando si offende e, con "tanto di cappello", riconosce l'altrui merito. Nel Novecento, accantonata ogni albagia, la sua storia diventa cronaca spesso mondana, racconto di eleganza e le sue alternanze sono cedimenti a confortevoli comodità. Ogni abito per ogni occasione si accompagna al cappello adeguato. Feltro, velour, seta, panno di lana, tessuti di lana e cotone, pelli trattate costituiscono i materiali per cappelli, cappelletti, berretti, coppole e baschi dell'uomo à la page del XX secolo.