“Proseguendo il cammino mi sembrava di vedere esposto sulla schiena del Vulcano un quadro di Montevago in cui egli aveva come rasserenato l’ebollizione magmatica della sua espressione. Anche se c’è sempre in lui qualcosa di incupito, interno esclusivamente a lui, uno sguardo che non guarda il mondo ma proietta sul mondo quel che vede dentro di sé. Il quadro trentasette, che ora vedevo esposto, era una malinconica, non saprei dire altrimenti, dosatura di verdi e di azzurri, di lievissimi rosa. Sembravano i verdi, fioritura, o soltanto ombre. Anche stavolta a calibrare il dosaggio dei colori rimanevo con l’apprezzamento passato, nessuna nota stonava. Eppure di note ve ne erano moltissime e specialmente al centro in basso era come una fioritura capillare di mille ramificazioni di colori sfumati. Com’era stato possibile che nessuna venatura suscitasse un senso d’inappropriatezza, anzi, al contrario, tutto sembrasse amalgamato alla perfezione? ”.