Circa 130 dipinti, provenienti da collezioni pubbliche e private, documentano l’origine e lo sviluppo della natura morta, tra la fine del XVI secolo e la fine del XVIII secolo, in Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna e Veneto. In questi territori di reciproci scambi e di intenso collezionismo la natura morta, di cui vengono documentati anche aspetti poco noti, mantiene caratteristiche di autonomia locale. Il volume, che accompagna l’esposizione di Colorno, si apre con i precedenti tardo-cinquecenteschi comprendenti opere di artisti fiamminghi documentati anticamente in Italia settentrionale, come Joachim Beuckelaer, e le prime risposte padane di Vincenzo Campi e Bartolomeo Passerotti. Si continua poi, tra Sei e Settecento, con la Lombardia di Fede Galizia, Panfilo Nuvolone, Evaristo Baschenis e Giacomo Ceruti, alla quale si affianca l’Emilia di Paolo Antonio Barbieri, Pier Francesco Cittadini, Felice Boselli, Giuseppe Maria Crespi e Cristoforo Munari. Se in queste due regioni le connessioni sono costanti nel tempo, in Liguria si assiste ad una apertura verso le Fiandre più che ai rapporti con i territori confinanti. E sulla scia dell’esempio di Jan Roos e Giacomo Legi, si formarono alcuni specialisti locali, quali Anton Maria Vassallo e Bartolomeo Guidobono. Il Piemonte si caratterizza piuttosto per il fervore del collezionismo, specie dei duchi di Savoia, da Carlo Emanuele I a Vittorio Amedeo I e così via fino alla fine del Settecento. Il Veneto, segnato lungo tutto il Seicento dalla presenza dei forestieri (stranieri, ma anche artisti provenienti da altre regioni d’Italia, e specie dalla Liguria), documenta la vivacità del mercato artistico e del collezionismo, senza dar luogo a significativi episodi autoctoni. Autori dei saggi sono alcuni dei più autorevoli esperti della pittura italiana del Seicento e Settecento: Giovanni Godi, Anna Orlando, Alberto Cottino, Alessandro Morandotti, Daniele Benati, Alberto Crispo e Franco Paliaga.