Sovente il giudizio dei critici e del pubblico su un autore o un indirizzo artistico contemporaneo risente in larga misura delle oscillazioni del gusto: forse perché la materia su cui si esercita partecipa ancora della fluidità del polemizzare quotidiano, del contrasto di momenti particolari nella dialettica culturale delle arti. A esaltazioni iperboliche seguono stroncature talvolta immeritate, risarcite poi da tardive riscoperte dovute certamente a una più pacata rilettura critica, ma troppo spesso non immuni da quelle mode della memoria che evocano il passato prossimo con i colori del mito e servono come scale di fuga da un presente disagevole, da una disavventura ideologica, dalle ristrettezze del pensiero pigro. Valga per tutti la vicenda del Liberty che conobbe trionfi precoci e universali, poi una quarantena di generale abbandono da cui lo ha strappato la recente rivalutazione, avvenuta non solo nel doveroso riordinamento critico, ma soprattutto nel gusto diffuso: facendo le fortune di quanti - collezionisti o mercanti - hanno mostrato di conoscere bene i cicli delle mode culturali, seguitando a raccogliere opere e arredi "modern style" quando erano rinnegati in blocco come paccottiglia esecrabile. Fin dalle prime pagine di questo libro - una compiuta sintesi della lunga attività critica e storiografica esercitata da Mario De Micheli sulla scultura italiana dell'ultimo secolo - l'autore invita il lettore a lacerare criticamente "quell'involucro di gusto che può velarci fascinosamente un'opera o farcela invece apparire sorda e opaca, per giungere alla sua sostanza oltre quei dati "temporali" che, appunto, tendono a renderla gradevole o sgradevole alla nostra intuizione". De Micheli offre dunque un metodo e un esempio di lettura del fenomeno artistico contemporaneo che consente di evitare una simile deformazione soggettiva o comunque di esserne consapevoli nell'esercitare il giudizio. Ciò significa "non separare mai la genesi dell'opera dalla ricca molteplicità delle sue matrici soggettive e oggettive. Ma significa anche non fare una "storia di geni". Rendersi conto di un fitto tessuto socio-politico e culturale-creativo vuol dire quindi prendere in considerazione anche quegli artisti che sono ritenuti minori, in quanto la complessità e lo spessore di una situazione sono sempre dati dall'insieme interagente di un largo e vario contesto. È solo questo insieme che può fornire gli indizi e il senso del formarsi, del crescere o decrescere delle tendenze, nonché dell'emergere, con particolari caratteri, delle personalità di maggior rilievo".